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Dalla prehistoria alla storia

LA “PRE HISTORIA”


Sembra inverosimile, ma ripercorrere le origini della parrocchia di S. Angela significa ritornare agli anni ’85-86 del secolo scorso, 33 anni fa… è già storia.

Non ero quello che avete conosciuto, ero un curato che si dedicava esclusivamente all’oratorio: liturgia, catechesi ragazzi, soprattutto il gruppo giovani, insegnante alla scuola media “Pascoli”.  

Gruppo culturale con ricerche storiche e concorso-rassegna di pittura, a Natale il concorso presepi, (per premiare i presepi nacque l’idea delle icone), colonia estiva al mare, (da qui l’idea di dipingere i sassolini) e il grest, il fiore all’occhiello: Impegno, studio, grandi giochi, gite, sempre su tema storico-culturale, (abbiamo ripercorso la storia di Brescia dalla preistoria al 1500, con la guida delle “Memorie storiche” dell’Odorici in 12 volumi).

Sua eccellenza Mons. Olmi, era venuto alla carica due volte: la prima proponendomi come parroco di Brandico a Costa Volpino, (due passi da casa mia) la seconda in valle, più a nord: Rino-Sonico-Garda; era intervenuto deciso il mio parroco don Giulio Scolari, grande maestro.

Qualcuno mi aveva preavvisato: “hai detto di no due volte, non ce la farai la terza” e così avvenne.


INIZIA LA “STORIA”


Circa un anno dopo, Monsignore mi convocò a casa sua, presso le Angeline, esordisce dicendo: “Ho deciso di farti parroco di Santa Angela”.

Rispondo: “Non mi manderà qui in città?”

“No, no, si chiamerà Sant’Angela la parrocchia che sorgerà accanto alla tua. Rimani pure per un anno dove ti trovi, nel frattempo ti guardi attorno, prendi contatti…fa riferimento a Mons. Franceschetti e a Mons. Capra, loro tengono già relazioni con il Comune e con l’ufficio urbanistico per San Polo Nuovo”.

“Dalla padella al fuoco”, rispondo.

Torno a San Polo e ne parlo a don Giulio. Fa un sorriso e mi dice: “E’ la volta buona, coraggio”.

Tutto è iniziato così.

Continuo il mio lavoro, prendo contatti con la Curia: esisteva una commissione per gli affari straordinari e le chiese nuove, presieduta da Mons. Olmi, ne facevano parte Franceschetti, Capra, il Cancelliere don Pezzotti e l’amministratore della Diocesi. Non c’erano altre emergenze e quindi non si riuniva ormai da tempo. In verità non sapevano che cosa fare e mi mandavano l’uno dall’altro senza giungere ad alcun risultato. Nel frattempo, la domenica pomeriggio faccio visita alle case in costruzione, stava terminando la torre Tintoretto ed erano in realizzazione solo due schiere di via Cimabue, ma non ci abitava ancora nessuno.

Passa all’incirca un anno, Curia e Comune propongono un incontro per definire una prima ipotesi per l’area da destinare alla parrocchia. Si prospetta una zona a ridosso di via S. Polo, al termine di via Colpani, una viuzza senza uscita e priva di comunicazioni con tutto il resto della zona.

Tutti sono entusiasti della disponibilità del comune, ma io la rifiuto, perché del tutto marginale al territorio, che si ipotizza esteso da Via S. Polo a Sant’Eufemia. L’area verrà cambiata tredici volte nell’arco di cinque anni.

La Curia mi assegna come riferimento tecnico lo studio di architettura Montini ed in seguito l’architetto Giacomo Rosini, come progettista, ma è del tutto prematuro parlare di costruzioni fino a quando non sarà definita l’area.

Nel frattempo lascio San Polo e mi traferisco nella canonica dell’ex parrocchia “Case di San Polo” con l’incarico di seguire l’Arici-Sega; continuo ad insegnare, passo dalla “Pascoli” al “Gambara” e, per darmi una posizione giuridica vengo nominato parroco di Ceratello a Costa Volpino, paese dei miei antenati, perché non può esistere un titolo di parroco, senza un territorio parrocchiale.

Continuo i contatti con l’ufficio urbanistico, assistito dal dott. Renato Bruni, pensionato amministratore della Fiat di Canton Mombello, preziosissimo collaboratore per anni, nei rapporti con gli uffici comunali e poi controllore dei conti economici.

Finalmente si giunge all’assegnazione di mille metriquadri di terreno, per la realizzazione di una cappella provvisoria. In quartiere abitano poche centinaia di persone: la torre Tintoretto e le prime case a schiera di via Cimabue. Celebro nell’appartamento della famiglia Palazzini.

Quanti bei ricordi!

Quella piccola famiglia, quasi tutti presenti; si fa persino in primo carnevale; clima euforico, tutti in trasloco, si cena per le strade, insieme, allacciamenti ancora provvisori al contatore del cantiere e … memorabile l’invasione dei topi.

Ci si prepara alla Pasqua nella cappella prefabbricata; non esiste una lira, io ho un conto in banca di un milione e mezzo di lire e comincio con questo capitale.

La Curia ha stanziato 30 milioni per le prime opere, ma non me ne fa parola per quasi un anno. Prendo contatto con la ditta “Pasotti Legnami” tramite don Girelli, curato di Buffalora, e, in fiducia, si concorda per un prefabbricato.


IL PRIMO CANTIERE


Parte il piccolo cantiere: 1000 metri di area, progettista il geom. Renato Paini, l’impresario Simonelli, delle Case di S. Polo. Si dà l’avvio ai lavori: capocantiere geom. Mario Filippini, manovali Mario de Filippi, Angiolino, Claudio, alcuni amici di San Polo vecchio, altri dalle Case di San Polo; la ditta Nuova Beton dei Gaffurini regala sabbia e malta, la betoniera sprofonda nel fango. La ditta Pasotti, in testa l’operaio Francesco Mini, monta il prefabbricato.

Il Giovedì Santo si inaugura con la celebrazione “ In Coena Domini”.

E’ Pasquetta, festeggio il Lunedì dell’Angelo con i mie famigliari a Costa Volpino, uno dei miei fratello lavora alla Comunità Montana dell’Alto Sebino e mi riferisce che in Friuli si stanno dismettendo le baracche del terremoto, si può recuperarne una al costo di cinque milioni di lire, per il ripristino del terreno agricolo, basta una lettera del sindaco.

L’autista del sindaco di Brescia è di San Polo, nell’arco di una settimana mi accompagna e sono nell’ufficio del vice-sindaco per la lettera di richiesta. Prende il telefono e si intrattiene a lungo in continue esclamazioni interlocutorie, espresse ad alta voce. Chiedo se si tratti di roba mia o sua e mi risponde: “Purtroppo ci sono problemi, ma non si preoccupi, provvederemo noi a tutto”. Bisogna traferire il prefabbricato appena costruito, dall’altro lato della strada, per fare spazio ad una nuova costruzione “a spina” e mi propone di richiedere un’area più vasta, di almeno tremila metri quadrati, perché i tempi della provvisorietà non sarebbero stati brevi, si doveva prima definire il percorso della linea metropolitana.


LE BARACCHE DEL FRIULI


Segue il sopralluogo in Friuli, l’assegnazione di un prefabbricato “Pasotti” a Buia, guarda caso, donato a suo tempo dal Giornale di Brescia. Ne recuperiamo anche un secondo, che verrà poi donata ad una cooperativa missionaria. La nuova area viene assegnata, e si rialza il terreno agricolo di circa 70 centimetri con materiale edilizio di riporto; contadini e cavatori di sabbia gradualmente spianano il terreno e viene ricollocata la cappella.

Quanti ricordi in quella struttura, lentamente attrezzata in tutto e per tutto.

Si provvede a smontare il fabbricato di Buia e la squadra del solito Mini provvede a ricostruirla in parallelo alla cappella, lasciando tra le due un vasto spazio di attività.

Piovve, piovve e ancora piovve, tutto sprofondava nel fango e ci si preparava alla benedizione del Vescovo. Tutti all’opera, perfino mia mamma e mio padre, tutti a stendere ghiaietta per rendere agibili gli spazi.

E’ Domenica e arriva Mons. Foresti, con l’auto imbocca la stradina di accesso alla cappella, non sapendo che ai lati si sarebbe immerso nel fango. Non riesco a fermarlo e sprofonda fino al ginocchio. Con degli stracci lo ripuliamo e si inaugura la nuova struttura.


L’ARRIVO DELLE ANCELLE DELLA CHIESA


Mons. Olmi ritorna alla carica con una telefonata: “Ti ho trovato le suore, hai uno spazio nella nuova baracca per collocarle?” In verità pensavo di farci delle aulette per il catechismo. Inizia invece la più bella avventura della pastorale parocchiale: la collaborazione di tre religiose, grazie anche alla squisita guida di madre Enrica Coletti, fondatrice delle Ancelle della Chiesa di Palazzolo e di don Benvenuto, ospite nella loro casa, è stato il più bel dono, chi l’avrebbe mai nemmeno immaginato. La storia della parrocchia non può prescindere da questa straordinaria presenza spirituale.

Il quartiere si espande anche nella zona nord, in via Palladio e del Verrocchio. Il ritmo è ormai quello di ogni parrocchia bresciana: la cappella è confortevole e ci si adatta bene, si usa perfino per piccoli spettacoli, per gli incontri di catechismo si usano gli ambienti che abitiamo, inizia la vita pastorale normale, benedizione delle case, celebrazioni domestiche della messa predisposte dalle suore, l’anno liturgico fissa i ritmi delle feste. Attorno ai due prefabbricati, magazzini, tettoie e laboratori. Inizia l’attività delle icone, dei quadretti con fiori e foglie secchi, dei sassolini dipinti, la vendita di fiori… tutto serve per racimolare qualche soldino. Nasce il gruppo danza, il gruppo di preghiera carismatica.


L’AREA DEFINITIVA


Passano cinque anni e dopo 13 ricollocazioni, viene assegnata l’area definitiva. E’ incredibile, proprio adiacente a quella provvisoria e proprio dove all’ufficio urbanistica si giurava non sarebbe mai sorto un metro cubo di edificio. Ora bisogna pianificarla: è l’ora del consiglio affari economici e del consiglio pastorale, preziosi collaboratori. L’area assegnata è appena sufficiente per l’essenziale anche perchè a forma di trapezio rettangolo, con un lato obliquo sul percorso della metropolitana che costringe a sacrificare sempre un triangolo di spazio inutilizzabile (diventeranno la buca delle officine, in testa al campetto di calcio e l’orto della canonica).


IL PRIMO GRANDE CANTIERE


Un giovane di Botticino Sera, che frequenta il gruppo di preghiera, Boniotti Domenico si mette a disposizione con camion e ruspa, spiana e cava sabbia e realizza il campo di calcio e più tardi lo svaso per la chiesa nuova.

Si dà inizio ai due fabbricati definitivi: uno per gli adulti (Acli) e uno per i ragazzi: ambienti per attività sportive, gioco, aule di catechismo e appartamenti. I progetti sono dell’architetto Giacomo Rosini, l’impresa Cadenelli di Vobarno realizza le strutture portanti e viene liquidata. Si mette mano al resto con l’impresina di Giulio, del suo manovale e tutti, a qualsiasi ora, che danno una mano; segue i lavori il geom. Renato Paini.

Il Centro Oratori mette a disposizione ogni anno un giovane obiettore di coscienza; e perfino una ragazza volontaria di Lumezzane; è l’inizio del primo grande cantiere, in attesa della nuova chiesa.

Mons. Foresti non condivide la scelta, preferiva venisse realizzata subito la chiesa e poi il resto, ma le cose ormai sono fatte.

Evidentemente in questa fase sono fondamentali i contributi economici: quello CEI interviene solo per canonica e chiesa, quindi per ora bisogna arrangiarsi, è determinante il gemellaggio con le parrocchie di Sant’Alessandro e di Sant’Afra, parrocchie legate al culto di Sant’Angela. Dalla parrocchia di Sant’Alessandro provengono gli oggetti preziosi come il calco del presepio dei Della Robbia, la statua dell’Addolorata del Righetti, (originale in gesso dal quale è stata ricavata l’opera in legno della chiesa di S. Alessandro) i gradini esterni della chiesa e materiali vari, oltre alle collette quaresimali. A questa parrocchia si abbina la vicina Sant’Afra, grazie soprattutto all’Angela Pini, figlia di Santa Angela tuttofare; da qui provengono le statue in legno opera dell’intagliatore Andrea Soraperra di Alba di Canazei. Quante lotterie, pesche e offerte di nobili vecchiette del centro storico, per racimolare i 15-20 milioni di lire, costo di ogni opera: Via crucis, S. Angela, la Madonna, il Sacro Cuore, Gesù Bambino; Il grazie particolare anche ai due parroci don Magrinello di S’Afra e don Stefano Olivetti di S. Alessandro.

Iniziò da qui anche il rapporto con Lumezzane e con le famiglie Bonomi, Prandelli, Franzoni legate da vincoli di parentela. Da Lumezzane arriveranno le collette quaresimali della parrocchia di San Sebastiano, il contributo a fondo perduto e i prestiti della sig. Aurelia, senza di lei non sarebbe mai stato possibile iniziare, dalla ex Teorema si sono recuperati i caloriferi, serramenti e tutti i tubi Rama e Coprax per l’impianto di riscaldamento a pavimento dono delle fabbriche Prandelli e Franzoni.

Fra i tanti quotidiani collaboratori non si può dimenticare Beppe Morstabilini che su disegni offerti gratuitamente dalla Sorbitermica ha eseguito, praticamente in forma gratuita, tutti gli impianti idraulici, comprese le centrali termiche. Anni di lavoro!

Mitiche le giornate di preparazione e posa dei pavimenti, le betoniere che quasi ogni sera portavano le malte avanzate dai cantieri della superstrada del lago d’Iseo.

Giornate di lavoro dall’alba al tramonto e dopo cena con le suore nelle famiglie: “ora et labora”, è il lotto di Benedetto che ha fatto l’Europa.


LA NUOVA CHIESA


LA FASE PROGETTUALE


Finalmente si arriva alla progettazione della chiesa e ai progettisti bisogna fornire le linee orientative, non si prende un progetto a scatola chiusa:

-La chiesa deve essere elevata, perché al tempio “si sale”, è immagine biblica prima che funzionale ( vedi per ricavare un vano interrato).

-Elevata quindi innanzitutto, ma la chiesa deve essere bella: si spende tanto a farla gradevole quanto sciatta.

-E’ dedicata ad una santa donna, deve perciò essere graziosa, bianca come l’abito della sposa.

-Nell’antichità la chiesa era orientata sull’asse del percorso solare: est-ovest, ma non ci è possibile, valga almeno l’asse verticale: nord-sud, il classico “cardo” romano, l’asse di rotazione del tempo segnato dal ciclo solare, come i cardini sui quali, giorno dopo giorno, da est a ovest, come le pagine di un libro ruota il tempo.

-Uno spazio verde isola la chiesa e la separa dal “mondo”; se elevato distende lo spirito, è un filtro di bellezza che dispone l’animo all’incontro con l’assoluto. Può essere addirittura uno spazio liturgico, come per la celebrazione della luce il Sabato Santo.                                      

-Preziosa anche la possibilità di girarle intorno, è percorso processionale. (addirittura i progettisti proponevano un anello sporgente per proteggere dalla pioggia, ma sembrava l’anello di Saturno).

-La chiesa deve avere il campanile. Tutte le chiese nuove, per contenere i costi, ne erano prive. Una chiesa senza campanile è monca. La vicina parrocchia delle Due Sante ci ha subito imitato.


DAL BOZZETTO DI P. NAZARENO PANZERI


Piacque il bozzetto che p. Nazareno aveva predisposto per una chiesa in Africa, me lo fece conoscere la dott. Maria Grazia Corbari. Visitai il suo studio nel convento di S. Gaetanino. P Nazareno era artista di alto livello, aveva realizzato oltre la metà delle Via Crucis di bronzo per il santuario della Madonna di Lourdes a Chiampo, autore dell’ultima statua in marmo del duomo di Milano, grande vetratista (a lui abbiamo affidato le nostre vetrate), sono sue tutte le statue che troviamo alla Poliambulanza e alla Domus.

L’incontro è positivo e si prendono accordi per la collaborazione. Il suo lavoro di progettazione sarà gratuito, ma i lavori dovranno sempre essere anche da noi visionati e approvati.

Proprio su questo ultimo punto sorsero i problemi. Nella grande fattoria sulla via per Ospitaletto, sede dello studio dell’architetto, ci furono momenti di tensione, soprattutto sulla realizzazione del vano sotto la chiesa e l’accesso per i motolesi.

L’idea sarà di P. Nazareno, che l’affida per la progettazione all’amico Arch. Alessandro  Milani in collaborazione con la moglie, l’architetto sarà anche direttore dei lavori. L’esecuzione sarà affidata all’impresa Montini di Castegnato.

Tutta l’opera sarà realizzata in malta di cemento bianco e sabbia di pietra bianca macinata di Rezzato. Il calcestruzzo in getto martellinato. Il tetto in prefabbricati di cemento armato e La copertura in lastre rame isolate. Non si stabiliscono accordi sulle rifiniture interne e esterne.

Il cantiere è uno spettacolo ben documentato anche dalle molte foto che mano mano sono state scattate, documenti preziosi

l’impresa della martellatura è prevista in 50-60 milioni di lire, ma la eseguiremo noi. Acquistato un compressore d’occasione e due martelli “bocciarda” ci si mette con le mani vibranti, un po’ tutti, soprattutto il don, Giovanni Roasio e ….“sordomuto” . Si procederà al ritmo di un’ora per ogni metro quadro, immaginate quanto lavoro. È snervante e nemmeno si riesce a portarlo a termine.


LE INFERIATE


Padre Nazareno propone l’abbozzo di un disegno per le inferriate. 35 quintali di ferro, tutto viene piegato a mano con incudine e martello, ogni verga di 6 metri diventa un cerchio perfetto da spezzettare secondo necessità, in base al disegno. Nella chiesa, con la copertura dei soli prefabbricati in cemento, sotto la pioggia, col pavimento invaso da pozze d’acqua e su tavolati si abbozzano le grandi inferriate. Il don predispone la rete di verghe ricurve e i saldatori le puntano. E’ Luigi “il baffo”, il grande saldatore della ATB che le rifinisce. E’ incredibile, in circa un mese tutto è finito; nemmeno una grossa impresa specializzata avrebbe prodotto tanto e … gratis. Quasi 2000 elettrodi, due saldatrici bruciate…. È stata l’impresa più straordinaria.


IL TEATRO


Il vano sotto la chiesa era un immenso magazzino di ogni cosa: serramenti, elementi per bagni, mobilio di ogni genere, non si getta nulla, tutto può essere riciclato. I vani collaterali al teatro, sia quelli interni, sul lato est, che quelli adiacenti al piazzale con i ripostigli sottostanti non erano stati progettati. Se fossero stati studiati a suo tempo bastava variare l’altezza di tutta la struttura di 50 centimetri e quali risultati migliori si sarebbero ottenuto, ma non si poté fare, perché si era giunti alla rottura con i progettisti. Fu una serata tragica, padre Nazareno camminava su e giù per l’immenso salone col volto gonfio e nero, sembrava Napoleone dopo la battaglia di Waterloo. Avevano progettato il sotto chiesa con il muro ricurvo come la struttura superiore e l’accesso per i motolesi sul lato del piazzale, senza preavvisarci, avevano addirittura fatto approvare i calcoli dei cementi armati. Dovettero rifare tutto, sostituendo il muro ricurvo con una grossa trave e pilastri; questo però ha permesso un diverso ingresso più funzionale all’ambiente e la realizzazione dei tre vani aperti sul piazzale e i ripostigli sottostanti.


IL PALCOSCENICO


L’ultima grande impresa collettiva fu la realizzazione del palcoscenico. Per la struttura metallica portante abbiamo impiegato i sostegni dei guard-rail, che a camionate arrivavano dal meridione per essere rifusi all’Alfa Acciai; ne avevo acquistato un bilico, a prezzo di rottame, vennero reimpiegati un po’ per tutto, ma in particolare per la recinzione sul lato nord dell’area parrocchiale. Per i sostegni verticali si usarono i prfilati massicci in fero zingato, per gli elementi orizzontali dei laminati ad U procurati da Sandro Sandrini. L’opera di saldatura sempre affidata a Luigi “il baffo” saldatore professionale.

Ma l’impresa più meravigliosa fu il trattamento del legname con vernice ignifuga. La vernice era densa come una pece e si essiccava rapidamente, emanava un odore acre oltre misura, le travi venivano verniciate sul pizzale e poi riportate al coperto. Ci volle una giornata ed oltre 20 persone per portare a termine il lavoro, era un andirivieni di uomini spettacolare. Il fissaggio delle travi sul ferro richiese più di 1500 viti auto mordezzanti.


MILLE VOLTI E OGNI VOLTO UN NOME, UNA PERSONA.


Quanti volti e quanti nomi, dopo 33 anni non sempre facile abbinarli: le suore, i curati, gli obiettori, catechisti, i gruppi: Acli, sportivo, filodrammatico, danza, scout, animatori delle feste, consiglio pastorale e degli affari economici (con loro, per necessità impellenti i rapporti più frequenti e drammatici: Mario Filippini, Molari, Baiguera, Aliprandi, Sandrini….) e le “memorie storiche”: la Paola, la Nicoletta, la Orsolina e mille… altre figure della prima e dell’ultima ora.

Il Vangelo ci dice: “Chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca…” qui l’acqua è stata fiume e la grazia… mare.

Il Signore porti a compimento ciò che abbiamo iniziato.

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